Si può cambiare a maggioranza la tabella di ripartizione spese del riscaldamento
di Valeria Sibilio
Al pari di ogni comunità, anche quella condominiale riserva problematiche legate alla convivenza ravvicinata e, soprattutto, alla condivisione e ripartizione delle spese comuni. Come ha dimostrato l’ordinanza 19838 del 2018, nella quale la Cassazione ha trattato il ricorso della proprietaria di un immobile condominiale avverso la sentenza della Corte d’Appello che aveva ribaltato quella di primo grado, risultata a suo favore.
Il caso era stato originato da un atto notificato dalla suddetta proprietaria, nella quale citava a comparire, dinanzi al tribunale di primo grado il condominio dell’edificio, deducendo che, con delibera del 3.6.2009, l’assemblea aveva approvato il bilancio consuntivo di gestione relativo al periodo 1.4.2008 – 31.3.2009 avendo ripartito le spese anche con riferimento a quelle di riscaldamento. Tali spese le erano state imputate in ragione di 60,60 millesimi in violazione delle tabelle convenzionali allegate al proprio atto d’acquisto, datato 3.11.2003, che di contro, ai fini della ripartizione delle spese di riscaldamento, le attribuivano 24,00 millesimi.
Le tabelle del riscaldamento erano state modificate dall’assemblea condominiale con una delibera del 20.9.1985 reputata, dalla ricorrente, illegittima in quanto assunta a maggioranza e non all’unanimità. L’attrice chiedeva l’annullamento della delibera assembleare in data 3.6.2009 e la condanna del condominio alla restituzione delle somme versate indebitamente. Il condominio, non costituitosi, veniva dichiarato contumace.
Con sentenza n. 10054/2011 il Tribunale dichiarava l’invalidità della delibera del 3.6.2009 e condannava il condominio a restituire all’attrice le somme indebitamente percepite. Nell’appello interposto dal condominio, la Corte di Secondo Grado, con sentenza n. 2899 dei 16.6/24.7.2014, accoglieva il gravame e rigettava le domande tutte esperite in prime cure dall’appellata. La Corte evidenziava che quest’ultima aveva domandato l’annullamento unicamente della delibera del 3.6.2009 e viceversa il tribunale in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. aveva “incidentalmente statuito anche sulla delibera del 20.09.1985 dichiarandola nulla”. Evidenziava comunque che la delibera del 20.9.1985 era da reputarsi valida e che, d’altro canto, era fondato il fatto che, tra le parti in lite, era intervenuta sentenza, passata in giudicato, con cui era stata rigettata l’impugnazione esperita per le stesse ragioni dall’attrice contro la delibera assembleare del 27.5.2005.
Contro questa sentenza, la proprietaria dell’immobile proponeva ricorso per Cassazione sulla scorta di due motivi, ai quali il Condominio si opponeva con controricorso.
Nel primo motivo, la ricorrente deduceva che il condominio, contumace in primo grado, aveva irritualmente prodotto, in grado d’appello, la sentenza n. 3891/2009 del tribunale, inducendo la corte di merito a ravvisare una preclusione da pregresso giudicato intervenuto tra le parti in lite. Deduceva, comunque, che la vertenza definita con la sentenza n. 3891/2009 fosse ben diversa dalla presente controversia e che la corte territoriale avrebbe dovuto disattendere l’orientamento secondo cui la natura obbligatoria, non incidente sul diritto di proprietà, della delibera di revisione della tabella di ripartizione delle spese la rende in ogni caso opponibile al terzo acquirente. Nel secondo motivo, deduceva che la sentenza di primo grado non era inficiata da ultrapetizione, in quanto la declaratoria di nullità della delibera del 20.9.1985 aveva rappresentato unicamente la premessa logica della pronuncia assunta dal tribunale con la sentenza n. 10054/2011. Deduceva, inoltre, che la pronuncia incidentale di nullità non aveva alcuna idoneità a costituire giudicato e che tale nullità può essere rilevata dal giudice anche d’ufficio.
La Cassazione ha esaminato contestualmente i motivi di ricorso, in quanto strettamente connessi, giudicandoli entrambi destituiti di fondamento.
Gli ermellini hanno condiviso, per un verso, il postulato tratto dalla corte d’appello, riguardante la natura obbligatoria della tabella di ripartizione delle spese e della delibera che ne aveva importato modifica, in quanto non incidenti sul diritto di proprietà dei singoli condomini e dell’attrice – quindi a lei opponibili – quantunque ella stessa, ricorrente in questa sede, abbia acquistato il proprio immobile successivamente al 20.9.1985.
Per altro verso, hanno respinto la sollecitazione della ricorrente a disattendere l’indirizzo ricostruttivo esplicitato dalla Corte. Quest’ultima ha opinato per la validità della delibera dell’assemblea condominiale del 20.9.1985, pur ammettendo che il deliberato assembleare che la ricorrente aveva impugnato in prime cure, rende inammissibile ogni ulteriore ragione e profilo di censura. Per la Cassazione, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse rende inammissibili, per difetto di interesse, quelle relative alle altre ragioni oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa.
La Corte ha, così, rigettato il ricorso, condannando la ricorrente a rimborsare al controricorrente condominio le spese di giudizio, liquidate in euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge.
(Da il “Quotidiano de Il Sole 24Ore – Condominio”)